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La Biografia

La biografia di GIOVANNI PADALINO

 

Giovanni Padalino nacque il 12 dicembre 1881 a Candela (Foggia) da un’agiata famiglia di proprietari terrieri, primo di nove figli.  Dimostrò fin da ragazzo una vivacissima intelligenza, e, su proposta del suo maestro, fu inviato a Fano, presso il Collegio Nolfi, allora molto stimato per il tipo di educazione che vi si impartiva. Ottenuta la maturità classica, si iscrisse alla facoltà di Medicina e Chirurgia presso l’Università di Napoli, dove conseguì la laurea. Subito dopo fu Allievo Ufficiale medico a Firenze e poi Sottotenente medico a Fano, dove si sposò  e dove rimase a svolgere la sua professione di medico presso l’Ospedale “S. Croce”. Fu richiamato alle armi una prima volta nel 1911 durante la guerra di Libia e successivamente partecipò alla 1^ guerra mondiale come Tenente medico. In guerra si comportò sempre con coraggio e con onore, guadagnandosi una medaglia di bronzo, una croce di guerra ed una promozione sul campo al grado di Capitano che gli venne conferita per avere portato in salvo, durante un bombardamento, un ufficiale austriaco ferito: “Sfidando il pericolo lui ed il suo attendente andarono a prendere il ferito, mentre i portantini addetti a questo compito si erano rifiutati”.  In quegli anni non si limitò ad assistere i soldati ma curò amorosamente ed assistette i numerosi civili profughi o rimasti in quei paesi tormentati e semidistrutti dalla guerra. Durante la ritirata di Caporetto seppe che c’era una donna in gravi condizioni, in procinto di partorire. Si fermò nonostante il pericolo di essere fatto prigioniero ed aiutò la donna la quale diede alla luce un bimbo al quale fu imposto, in suo onore, il nome di “Giovanni”. Passarono gli anni e l’episodio fu dimenticato. Ma un giorno, nel 1941, un giovanotto venne a Fano a cercare del Dott. Padalino. “Mi chiamo Giovanni Comassini” disse. “Non ti conosco” rispose il Dottore, dandogli del “tu” come era solito fare. “La conosco io” disse il giovane e raccontò il fatto accaduto tanti anni prima, sul fronte, durante la guerra 1915-18.
Tornato dal fronte, dove aveva riportato anche una ferita, sia pur leggera, Giovanni Padalino riprese il suo posto all’Ospedale “S. Croce”, poi esercitò la professione, come medico condotto, prima nella zona cosiddetta “degli orti” (tutta la parte compresa tra il porto e la stazione ferroviaria), poi in quella del Porto, dove rimase fino alla pensione. Fu anche ostacolato i per ragioni politiche, in quanto senza la tessera del Partito, ma fu difeso dagli abitanti del rione.
Non si deve credere che la sua attività professionale si limitasse alla condotta comunale: egli era chiamato in ogni parte della città, era stimato da tutti ed a lui ricorrevano non solo in caso di malattia, ma anche per chiedere consigli al di fuori del campo medico, perché allora era in uso critenere il medico di famiglia una persona di fiducia.
Ecco alcune testimonianze: “Voleva molto bene ai suoi pazienti, e loro lo consideravano più un amico che un medico”, “Non era solo il medico di famiglia, ma l’amico ed il consigliere di tutti”, “Se si accorgeva che qualche seminarista del Seminario Regionale, dove si recava per svolgere la sua professione, non aveva più la vocazione, lo chiamava e lo consigliava di tornare campagna dove c’era aria più buona. Così il seminarista tornava a casa senza sentirsi disonorato: non era uno spretato”.
Era divenuto un tipo caratteristico: girava sempre a piedi, d’estate e d’inverno, da un capo all’altro della città, col suo bastone per compagno e col mozzicone di sigaro spento in bocca. Per tutti aveva una parola buona, un sorriso, una frase scherzosa. Ad un vecchio che gli chiedeva qualche medicina per guarire dai suoi acciacchi, rispose con un sorriso sulle labbra: “Hai il male della mia stessa età, non ci sono medicine per guarire, bisogna aver pazienza!” . Frasi celebri sono diventate: “Coraggio magna e bev, figlia mia!” e ad una signora particolarmente ansiosa: “Quanti morti oggi?” e, se un en giva de corp, el dutor ‘i diceva: “Sai co’hai da fa? fa ‘na bela magnata de fagioi bianchi sa l’oli e vedrai che te pasa!”
Si raccontano di lui tanti e tanti aneddoti, dai quali risulta sempre il suo calore umano, la profonda convinzione della sua missione di medico, osservata quasi con religiosità, la sua perspicacia nelle diagnosi, il suo disinteresse e la sua onestà.
A chi gli diceva che doveva pagarlo, rispondeva spesso: “Pensa alla salute!” Era noto come “el medic che pia poc” oppure “el medic di purett”.  Ad un forestiero, ospite a Fano nel periodo balneare subito dopo la guerra, che per una visita notturna gli aveva dato mille lire, il Dottore che se ne era accorto al suo ritorno a casa, rifece a piedi la strada da casa sua fino a viale Cairoli, per restituire metà della somma ricevuta.
Nelle case dei poveri, e lui sapeva chi era veramente povero, non pretendeva l’onorario ma era lui che lasciava qualche lira per la carne, il latte o altro.
Durante la seconda guerra mondiale, sfollato con la moglie nella vicina Cuccurano, faceva a piedi la strada fino a Fano per assistere i suoi malati, sfidando le avverse condizioni atmosferiche e più di tutto i bombardamenti, i mitragliamenti ed i rastrellamenti da parte delle truppe tedesche.
Fu il medico di fiducia del Collegio S. Arcangelo ed era chiamato anche nel Seminario Regionale per compiervi le visite a Mons. Vincenzo Del Signore, allora rettore del Seminario e poi vescovo di Fano, il quale gli era amico e, durante la breve malattia, gli fece visita per recargli la sua benedizione ed il ringraziamento per tutto il bene che aveva fatto.
Dopo essere andato in pensione, continuò la sua opera presso tutti coloro che volevano ancora servirsi di lui, e non erano pochi! Solo nel suo ultimo anno di vita, a 80 anni, rallentò la sua attività, perché sofferente di gotta. Ma appena la salute glielo permetteva ritornava dai suoi malati. Si racconta che, benchè non visitasse ormai più, si recò da una donna in gravi condizioni, sull’orlo del coma, dietro alle forti insistenze della malata stessa e dei suoi familiari. Vedendo in camera una ” sfilata” di medicine esclamò: “Avet mis su la farmacia? “e poi, dopo averla visitata, “Buttate via tutte quelle medicine e datele solo acqua da bere per due o tre giorni … più beve meglio è …questo è blocco del fegato …”. Dopo qualche giorno la donna si alzò dal letto guarita.

Per le sue benemerenze civili e professionali gli fu concesso il titolò di Commendatore della Corona d’Italia e poi quello di Grand’Ufficiale della Repubblica. Per i cinquantanni di laurea fu insignito della medaglia d’oro, anche in riconoscimento dei suoi meriti professionali.
Le sue condizioni si aggravarono nel 1962 , fu ricoverato in ospedale.  Le sue condizioni peggiorarono, morì il 9 Marzo 1962. Fu proclamato il lutto cittadino. Centinaia di persone resero omaggio alla sua salma. Durante il funerale, ai rintocchi dal civico campanone, tutti i negozi si chiusero ed il lunghissimo corteo funebre passò tra due fitte ali di popolo, specialmente accorso dal porto sul ponte della Liscia.
Ora il dott. Padalino riposa nella tomba di famiglia; un busto, voluto dai suoi concittadini, lo ricorda come “Medico dei Poveri” e nel Rione Dirindella una strada a lui intitolata, per volere dell’Amministrazione Comunale lo associa ad altri medici illustri della città di Fano.
Nel 1972 gli fu intitolata la nostra Scuola Media.